Sono
tante le storie che narrano di vampiri. Dal più mite al più sanguinario, questo
personaggio ha da sempre stuzzicato la fantasia dell’uomo, e ispirato le più
disparate storie e teorie.
C’è
una storia, tuttavia, che non ancora è stata raccontata.
La
mia storia.
Una
storia vera, che risale all’epoca in cui stavamo ristrutturando casa….forse
anche un annetto prima. La storia di uno strano magnetismo, forse di un amore
perduto, di un personaggio misterioso confuso tra sogno e realtà, la storia di
scelte dolorose.
La
mia storia con un ignoto vampiro.
Ancora
oggi ci ripenso, a distanza di anni, e mi accorgo che il suo volto è ancora
nitido nelle immagini della mia memoria. Non conosco il suo nome, e, a questo
punto, penso che non lo conoscerò mai.
Forse,
ho perso la mia occasione.
Mi
ero appena affacciata sull’età adolescenziale, e la solita estate calda e ricca
di giornate di sole e di mare stava lentamente volgendo al termine.
Solitamente, al tramonto, noi ragazzini ce ne stavamo a giocare a palla nel
giardino antistante casa, in attesa che gli adulti si sistemassero anch’essi
fuori a fare le solite quattro chiacchiere dell’imbrunire, in un’atmosfera mite
e ricca di fastidiose zanzare. Mio fratello minore, mia cugina ed io, all’epoca
(sembrano trascorsi secoli, invece che l’effettiva decina d’anni!), non
pensavamo minimamente alla serata danzante negli stabilimenti pescaresi, al
contrario degli attuali quattordicenni e sedicenni. L’importanza vitale era
riservata ai litigi per chi tira per primo, a chi tocca star sotto a palla
prigioniera, alle confidenze fatte lungo lo steccato che dava sul tramonto
dietro il Gran Sasso, e che nelle sere di fine agosto dipingeva il cielo di
mille sfumature di rosa e di blu. Avevamo una nostra routine, fatta di giochi,
confidenze, scuola e sport. Inoltre, vivendo fuori città, praticamente
obbligavamo i nostri a scarrozzarci dappertutto!
...E
la sera ci tingevamo le mani con le “belle di notte” dai colori diversi e dallo
stesso, pungente profumo!
Ora
come ora, quella fase della mia vita mi sembra sempre più somigliante ad un
dipinto macchiaiolo: caldi colori e paesaggi rurali dove i personaggi posano in
un armonioso alternarsi di luci ed ombre.
Ma
dov’erano le ombre, in mezzo a tanta spensieratezza e, a volte, ingenuità?
Una
mattina fui svegliata all’alba dal canto del gallo. “Strano”, pensai, “ è
stranamente presto!”.
I
colori che filtravano dalla porta a vetro dalla stanza da letto ch dividevo con
mio fratello stavano appena sfumando dal violetto dell’alba al celeste del
sorgere a Est, e nella camera rimbombava il solito concerto mattutino di cicale
e volatili che sarebbero presto migrati per concedere ai miei timpani il
meritato riposo notturno.
Mi
voltai di lato, e tentai di riprendere sonno. Fissavo la parete coperta di
poster dei Take That, mi giravo e rigiravo nel letto inutilmente, mentre mio
fratello, beato lui, russava all’altro capo della camera. Mi sentivo strana.
Ero come elettrizzata. Confusa. Malinconica…
Un
flash apparve quando chiusi gli occhi.
Un
volto umano.
Fu
come un fulmine a ciel sereno, e io ne fui colpita in pieno.
Il
volto era maschile, tuttavia dissimile da tutte le persone che conoscevo.
Apparteneva ad un giovane, che all’epoca avrà avuto tanti anni quanti ne ho io
adesso, forse qualcuno in meno, forse qualcuno in più. Mi è difficile
quantificarne l'età, ora come lo era allora, data la perfezione di
lineamenti.
A
mano a mano che riflettevo sull’immagine, continuavano ad emergere particolari:
era molto alto, dal fisico asciutto. Indossava un completo nero, e la pelle era
talmente chiare da farmi confondere dove finisse il collo e dove cominciasse il
colletto della camicia. Sembrava una bambola di porcellana.
Aggrottai
le sopracciglia: quando mai mi era piaciuto lo stile del pinguino? Quando mai
mi ero soffermata più di un millisecondo su qualcuno abbigliato a quel modo?
Più
cercavo di scacciar via l’immagine dalla mia memoria, più essa tornava
prepotentemente, suscitando in me un sentimento che riservo a pochi individui
presenti nella mia vita: la mancanza.
Mentre
trascorrevano i minuti, diventavo sempre più consapevole di non esser stata nel
mio letto durante la notte. Il personaggio misterioso mi aveva trovata, ed io
mi ero lasciata condurre da qualche parte, forse nella sua dimora, piena di
luci soffuse e di oggetti di altri tempi. Non avevamo parlato. Ci eravamo
limitati e scambiarci i pensieri. Non avrei mai creduto che fosse possibile!
Lui
mi teneva per mano, ed io lo seguivo affascinata, ipnotizzata. La sua mano era
grande, affusolata, mi tirava dolcemente senza il bisogno di forzarmi. Non
m’importava del gelo della sua pelle. Non lo percepivo neanche.
Si
fermò in cima allo scalone di un antico palazzo. Somigliava al palazzo dove
vivevano i miei nonni, al centro di Chieti, ma suppongo che l’architettura
dell’epoca fascista sia più o meno tutta uguale.
Aprì
la porta dell’appartamento ed entrammo. Dentro era scuro, non riuscivo a
scorgere i particolari. In verità, non m’interessava minimamente scorgerli.
L’unica cosa di cui m’importava era lui. Il suo viso. Il suo volto levigato e
triste, un volto lungo dalla mascella delicatamente squadrata, che faceva da
cornice alla linea della bocca sottile e ben modellata, sotto il naso lungo e
regolare che divideva due occhi verdi e brillanti, circondati e sovrastati da
lunghe ciglia e sopracciglia finemente disegnate. Portava i capelli sciolti,
lisci, biondi e lunghi fino alle spalle.
Ripensandoci,
sembrava appena uscito dal trucco per una sfilata! Se avesse indossato altri
panni e avesse avuto un paio d’ali sulle spalle, si sarebbe potuto scambiare
benissimo per un angelo.
Tuttavia
sapevo che non era un angelo. Non avevo ancora mai sentito parlare di vampiri,
non avevo ancora mai letto nulla sull’argomento, eppure io sapevo chi avevo di
fronte. Sapevo chi era quella creatura che continuava a fissarmi in silenzio,
dall’alto verso il basso, con un’espressione di tristezza indecifrabile dipinta
sul volto. Aveva gli occhi lucidi, le labbra serrate e tremanti come a reprimere
il pianto.
<<
Portami con te >>, lo pregai.
<<
Non posso >>, rispose, e si voltò di lato chiudendo gli occhi.
Allargai
le braccia e mi lasciai sollevare, gli cinsi le spalle e le mie gambe si
strinsero alla sua vita, mentre lui a sua volta mi avvolgeva tenendomi ad una
discreta distanza dal suolo. In silenzio, piangeva. Asciugai una lacrima dal
suo viso. La sua pelle era di seta e di marmo.
<<
Ti amo >>, mi sussurrò.
<<
Allora fammi diventare come te >>, fu la mia risposta. Avrei voluto dire
un milione di parole diverse, porgli migliaia di domande, ancorarmi a lui con
tutta la mia forza, ma dalla mia bocca non uscì altro suono.
<<
Non posso >>
<<
Perché? >>, protestai. Non lo avrei lasciato andare tanto facilmente.
<<
Sei troppo giovane. Inoltre, non potrei mai condannarti alla sofferenza e alla
solitudine che provo io >>.
Crollai.
<< Ma io voglio stare con te!>>
Nessuna
risposta. Solo i suoi occhi che continuavano a fissarmi, con la stessa,
intensa, sofferenza di prima.
Poi,
il nulla.
Il
mattino, di nuovo nel mio letto.
Il pensiero che fosse stato soltanto un sogno durò poco: esattamente fino al
momento in cui andai in bagno e mi guardai allo specchio. Avevo la faccia di
una che aveva pianto tutta la notte, le borse sotto gli occhi mi arrivavano
alle ginocchia e, prova eclatante, sul mio collo c’erano due microscopici
forellini rossi, proprio in corrispondenza della vena giugulare..
Rimasi
seriamente turbata, ma non feci parola con nessuno dell’accaduto. Se il vampiro
aveva voluto cibarsi di me, qualcosa lo aveva indotto a rinunciare. Se, invece,
aveva davvero tentato di rendermi uguale a lui, allo stesso modo aveva
desistito dall’impresa. Oppure, aveva solo voluto assaggiare il mio sapore e
lasciarmi una prova tangibile del fatto che non fosse stato tutto un sogno.
Per
molti mesi custodii il segreto, pur pensandoci continuamente. Per molti mesi
non ebbi nessun altro “contatto”. Per molti mesi non ebbi risposta alle
mie domande, nè conforto alla mia malinconia. Lentamente, cominciai a
disperare di rivederlo.
Invece
lui tornò, in una notte di luna piena.
Vidi
la sua ombra stagliarsi contro la luce argentea che riverberava nella stanza,
una sagoma statuaria, immobile, che mi fissava in silenzio. Mi sentivo
estremamente piccola e bisognosa di abbracciarlo, come la prima volta. Gettai
fulmineamente le coperte di lato, e arrivai in ginocchio ai piedi del
letto, tendendo le braccia e stando ben attenta ad evitare ogni minimo rumore o
scricchiolio della rete che avesse potuto alleggerire il sonno di mio fratello.
Il
vampiro si avvicinò con movimenti fluidi e silenziosi, a mi arrivò di fronte
per cingermi le spalle.
Col
pensiero mi comunicò che sarebbe partito per un lungo viaggio, che non mi
poteva più stare accanto perché la tentazione di trasformarmi era troppo forte
e lui, ribadì, non voleva condannarmi alla disperazione. Mi avvertì di stare
attenta ai suoi consanguinei malvagi, non mi assicurò un ritorno.
Sentii
l’angoscia dilagare in me come un mare in tempesta, e mi sentivo oltremodo
frustrata perché non potevo dare sfogo ai miei sentimenti. Mi resi conto, d'un
tratto, che il mio notturno visitatore non si era limitato a quelli due
incontri, e che da chissà quanto tempo seguiva i miei movimenti segretamente,
furtivamente, invisibilmente. Chissà, forse era stato al mio fianco da anni,
senza che me ne accorgessi. Ma allora, perchè aveva deciso di rivelarsi? Perchè
proprio in quel momento?
Tentai
di restare avvinghiata al suo collo, ma lui mi allontanò dolcemente e mi baciò
sulla fronte. Un bacio tenero, sofferto. I suoi capelli mi accarezzarono il
volto, io li sfiorai con le dita. Ancora una volta cercai di avvicinarlo. E
stavolta lui non oppose resistenza. Lo baciai sulle labbra fredde. Il mio primo
bacio. E nelle labbra che si sfioravano e si accarezzavano, mi resi conto che
lui sarebbe rimasto nel mio cuore per sempre, che non sarebbe stato un semplice
amore adolescenziale, che la speranza di rivederlo non sarebbe mai morta,
finché il mio cuore avesse continuato a battere.
Alla
fine, lo lasciai andare, e lui sparì repentinamente come era apparso,
lasciandomi sola e immobile e fissare la luce del plenilunio.
Quella
fu l'ultima notte con lui. Non ho più saputo nulla. Anni dopo, fui svegliata
durante la notte da strani rumori. Era di nuovo estate, i lavori a casa erano
terminati, avevo una camera tutta mia in mansarda. La porta finestra era
aperta, la zanzariera chiusa, le listelle della persiana abbassate tanto da non
permettere alla troppa luce del lampione sulla strada di entrare.
Sentii
dei passi sul terrazzo, e una voce che mi chiamava. Vidi un’ombra che camminava
avanti e indietro stagliandosi contro la penombra, senza però entrare.
<<
Aurora, esci, sono io. Non avere paura. Sono tornato! >>.
Raggelai.
Quella voce non mi convinceva. Troppo roca. Troppo furtiva. Troppo smaniosa di
convincermi.
Troppe
parole, lui non aveva mai mosso le labbra per esprimere concetti trasferibili
semplicemente col pensiero.
Mi
rannicchiai nel letto immobile, senza respirare.Il mio cuore sembrava un tamburo,
cercai di controllarne il battito nel timore potesse essere sentito. Ma se pure
l'ospite sentì qualcosa, fece finta di niente. Non so per quanto tempo
trattenni il fiato, fatto sta che il silenzio tombale proveniente dalla mia
camera dopo un po’ fece desistere il visitatore, che se ne andò.
Quella
volta, la paura vinse la curiosità. In seguito ebbi il serio terrore che il mio
amore notturno fosse stato annientato da chissà quale altro consanguineo
malvagio. Del resto, mi aveva avvertito di stare attenta!
Non
posso fare a meno di pensare che forse ho chiuso la porta in faccia al ritorno
del mio oscuro cavaliere innamorato; oppure, col
mio comportamento, mi sono salvata la vita.
Non
ho una risposta certa alle mie domande. L’unica certezza che ho è che mi fido
molto dello stato d’animo che in me suscitano gli altri individui. L’ultimo
contatto non aveva stuzzicato in me nulla di piacevole.
La
mia storia scivola tranquillamente sulla superficie dell'esistenza,
confondendosi con la fantasia. Non so se questo vampiro sia simile a quelli
delle più famose letterature, non so se avesse poteri straordinari. So solo che
eravamo telepatici, ma non so neanche se lo fosse solo con me e perchè.
Sono
passati più di dieci anni dalla prima notte, lui resta sempre vivo nella mia
memoria.
Lui,
il mio segreto amore notturno, misterioso e silenzioso come un’ombra. Lui, che
come i sogni più fantasiosi non mi ha ancora svelato il suo nome. Lui, mi
domando se tornerà mai.