lunedì 2 aprile 2012

Giochi notturni

Sono tante le storie che narrano di vampiri. Dal più mite al più sanguinario, questo personaggio ha da sempre stuzzicato la fantasia dell’uomo, e ispirato le più disparate storie e teorie.
 C’è una storia, tuttavia, che non ancora è stata raccontata.
La mia storia.
Una storia vera, che risale all’epoca in cui stavamo ristrutturando casa….forse anche un annetto prima. La storia di uno strano magnetismo, forse di un amore perduto, di un personaggio misterioso confuso tra sogno e realtà, la storia di scelte dolorose.
La mia storia con un ignoto vampiro.
Ancora oggi ci ripenso, a distanza di anni, e mi accorgo che il suo volto è ancora nitido nelle immagini della mia memoria. Non conosco il suo nome, e, a questo punto, penso che non lo conoscerò mai.
Forse, ho perso la mia occasione.
 
Mi ero appena affacciata sull’età adolescenziale, e la solita estate calda e ricca di giornate di sole e di mare stava lentamente volgendo al termine. Solitamente, al tramonto, noi ragazzini ce ne stavamo a giocare a palla nel giardino antistante casa, in attesa che gli adulti si sistemassero anch’essi fuori a fare le solite quattro chiacchiere dell’imbrunire, in un’atmosfera mite e ricca di fastidiose zanzare. Mio fratello minore, mia cugina ed io, all’epoca (sembrano trascorsi secoli, invece che l’effettiva decina d’anni!), non pensavamo minimamente alla serata danzante negli stabilimenti pescaresi, al contrario degli attuali quattordicenni e sedicenni. L’importanza vitale era riservata ai litigi per chi tira per primo, a chi tocca star sotto a palla prigioniera, alle confidenze fatte lungo lo steccato che dava sul tramonto dietro il Gran Sasso, e che nelle sere di fine agosto dipingeva il cielo di mille sfumature di rosa e di blu. Avevamo una nostra routine, fatta di giochi, confidenze, scuola e sport. Inoltre, vivendo fuori città, praticamente obbligavamo i nostri a scarrozzarci dappertutto!
...E la sera ci tingevamo le mani con le “belle di notte” dai colori diversi e dallo stesso, pungente profumo!
Ora come ora, quella fase della mia vita mi sembra sempre più somigliante ad un dipinto macchiaiolo: caldi colori e paesaggi rurali dove i personaggi posano in un armonioso alternarsi di luci ed ombre.
Ma dov’erano le ombre, in mezzo a tanta spensieratezza e, a volte, ingenuità?
 
Una mattina fui svegliata all’alba dal canto del gallo. “Strano”, pensai, “ è stranamente presto!”.
I colori che filtravano dalla porta a vetro dalla stanza da letto ch dividevo con mio fratello stavano appena sfumando dal violetto dell’alba al celeste del sorgere a Est, e nella camera rimbombava il solito concerto mattutino di cicale e volatili che sarebbero presto migrati per concedere ai miei timpani il meritato riposo notturno.
Mi voltai di lato, e tentai di riprendere sonno. Fissavo la parete coperta di poster dei Take That, mi giravo e rigiravo nel letto inutilmente, mentre mio fratello, beato lui, russava all’altro capo della camera. Mi sentivo strana. Ero come elettrizzata. Confusa. Malinconica…
Un flash apparve quando chiusi gli occhi.
Un volto umano.
Fu come un fulmine a ciel sereno, e io ne fui colpita in pieno.
Il volto era maschile, tuttavia dissimile da tutte le persone che conoscevo. Apparteneva ad un giovane, che all’epoca avrà avuto tanti anni quanti ne ho io adesso, forse qualcuno in meno, forse qualcuno in più. Mi è difficile quantificarne l'età, ora come lo era allora, data la perfezione di lineamenti.
A mano a mano che riflettevo sull’immagine, continuavano ad emergere particolari: era molto alto, dal fisico asciutto. Indossava un completo nero, e la pelle era talmente chiare da farmi confondere dove finisse il collo e dove cominciasse il colletto della camicia. Sembrava una bambola di porcellana.
Aggrottai le sopracciglia: quando mai mi era piaciuto lo stile del pinguino? Quando mai mi ero soffermata più di un millisecondo su qualcuno abbigliato a quel modo?
Più cercavo di scacciar via l’immagine dalla mia memoria, più essa tornava prepotentemente, suscitando in me un sentimento che riservo a pochi individui presenti nella mia vita: la mancanza.
Mentre trascorrevano i minuti, diventavo sempre più consapevole di non esser stata nel mio letto durante la notte. Il personaggio misterioso mi aveva trovata, ed io mi ero lasciata condurre da qualche parte, forse nella sua dimora, piena di luci soffuse e di oggetti di altri tempi. Non avevamo parlato. Ci eravamo limitati e scambiarci i pensieri. Non avrei mai creduto che fosse possibile!
Lui mi teneva per mano, ed io lo seguivo affascinata, ipnotizzata. La sua mano era grande, affusolata, mi tirava dolcemente senza il bisogno di forzarmi. Non m’importava del gelo della sua pelle. Non lo percepivo neanche.
Si fermò in cima allo scalone di un antico palazzo. Somigliava al palazzo dove vivevano i miei nonni, al centro di Chieti, ma suppongo che l’architettura dell’epoca fascista sia più o meno tutta uguale.
Aprì la porta dell’appartamento ed entrammo. Dentro era scuro, non riuscivo a scorgere i particolari. In verità, non m’interessava minimamente scorgerli. L’unica cosa di cui m’importava era lui. Il suo viso. Il suo volto levigato e triste, un volto lungo dalla mascella delicatamente squadrata, che faceva da cornice alla linea della bocca sottile e ben modellata, sotto il naso lungo e regolare che divideva due occhi verdi e brillanti, circondati e sovrastati da lunghe ciglia e sopracciglia finemente disegnate. Portava i capelli sciolti, lisci, biondi e lunghi fino alle spalle.
Ripensandoci, sembrava appena uscito dal trucco per una sfilata! Se avesse indossato altri panni e avesse avuto un paio d’ali sulle spalle, si sarebbe potuto scambiare benissimo per un angelo.
Tuttavia sapevo che non era un angelo. Non avevo ancora mai sentito parlare di vampiri, non avevo ancora mai letto nulla sull’argomento, eppure io sapevo chi avevo di fronte. Sapevo chi era quella creatura che continuava a fissarmi in silenzio, dall’alto verso il basso, con un’espressione di tristezza indecifrabile dipinta sul volto. Aveva gli occhi lucidi, le labbra serrate e tremanti come a reprimere il pianto.
<< Portami con te >>, lo pregai.
<< Non posso >>, rispose, e si voltò di lato chiudendo gli occhi.
Allargai le braccia e mi lasciai sollevare, gli cinsi le spalle e le mie gambe si strinsero alla sua vita, mentre lui a sua volta mi avvolgeva tenendomi ad una discreta distanza dal suolo. In silenzio, piangeva. Asciugai una lacrima dal suo viso. La sua pelle era di seta e di marmo.
<< Ti amo >>, mi sussurrò.
<< Allora fammi diventare come te >>, fu la mia risposta. Avrei voluto dire un milione di parole diverse, porgli migliaia di domande, ancorarmi a lui con tutta la mia forza, ma dalla mia bocca non uscì altro suono.
<< Non posso >>
<< Perché? >>, protestai. Non lo avrei lasciato andare tanto facilmente.
<< Sei troppo giovane. Inoltre, non potrei mai condannarti alla sofferenza e alla solitudine che provo io >>.
Crollai. << Ma io voglio stare con te!>>
Nessuna risposta. Solo i suoi occhi che continuavano a fissarmi, con la stessa, intensa, sofferenza di prima.
Poi, il nulla.
Il mattino, di nuovo nel mio letto.
  Il pensiero che fosse stato soltanto un sogno durò poco: esattamente fino al momento in cui andai in bagno e mi guardai allo specchio. Avevo la faccia di una che aveva pianto tutta la notte, le borse sotto gli occhi mi arrivavano alle ginocchia e, prova eclatante, sul mio collo c’erano due microscopici forellini rossi, proprio in corrispondenza della vena giugulare..
Rimasi seriamente turbata, ma non feci parola con nessuno dell’accaduto. Se il vampiro aveva voluto cibarsi di me, qualcosa lo aveva indotto a rinunciare. Se, invece, aveva davvero tentato di rendermi uguale a lui, allo stesso modo aveva desistito dall’impresa. Oppure, aveva solo voluto assaggiare il mio sapore e lasciarmi una prova tangibile del fatto che non fosse stato tutto un sogno.
 Per molti mesi custodii il segreto, pur pensandoci continuamente. Per molti mesi non ebbi nessun altro “contatto”. Per molti mesi non ebbi risposta alle mie domande, nè conforto alla mia malinconia. Lentamente, cominciai a disperare di rivederlo.
Invece lui tornò, in una notte di luna piena.
Vidi la sua ombra stagliarsi contro la luce argentea che riverberava nella stanza, una sagoma statuaria, immobile, che mi fissava in silenzio. Mi sentivo estremamente piccola e bisognosa di abbracciarlo, come la prima volta. Gettai fulmineamente le coperte di lato, e arrivai in ginocchio ai piedi del  letto, tendendo le braccia e stando ben attenta ad evitare ogni minimo rumore o scricchiolio della rete che avesse potuto alleggerire il sonno di mio fratello.
Il vampiro si avvicinò con movimenti fluidi e silenziosi, a mi arrivò di fronte per cingermi le spalle.
Col pensiero mi comunicò che sarebbe partito per un lungo viaggio, che non mi poteva più stare accanto perché la tentazione di trasformarmi era troppo forte e lui, ribadì, non voleva condannarmi alla disperazione. Mi avvertì di stare attenta ai suoi consanguinei malvagi, non mi assicurò un ritorno.
Sentii l’angoscia dilagare in me come un mare in tempesta, e mi sentivo oltremodo frustrata perché non potevo dare sfogo ai miei sentimenti. Mi resi conto, d'un tratto, che il mio notturno visitatore non si era limitato a quelli due incontri, e che da chissà quanto tempo seguiva i miei movimenti segretamente, furtivamente, invisibilmente. Chissà, forse era stato al mio fianco da anni, senza che me ne accorgessi. Ma allora, perchè aveva deciso di rivelarsi? Perchè proprio in quel momento?
Tentai di restare avvinghiata al suo collo, ma lui mi allontanò dolcemente e mi baciò sulla fronte. Un bacio tenero, sofferto. I suoi capelli mi accarezzarono il volto, io li sfiorai con le dita. Ancora una volta cercai di avvicinarlo. E stavolta lui non oppose resistenza. Lo baciai sulle labbra fredde. Il mio primo bacio. E nelle labbra che si sfioravano e si accarezzavano, mi resi conto che lui sarebbe rimasto nel mio cuore per sempre, che non sarebbe stato un semplice amore adolescenziale, che la speranza di rivederlo non sarebbe mai morta, finché il mio cuore avesse continuato a battere.
Alla fine, lo lasciai andare, e lui sparì repentinamente come era apparso, lasciandomi sola e immobile e fissare la luce del plenilunio.
 
Quella fu l'ultima notte con lui. Non ho più saputo nulla. Anni dopo, fui svegliata durante la notte da strani rumori. Era di nuovo estate, i lavori a casa erano terminati, avevo una camera tutta mia in mansarda. La porta finestra era aperta, la zanzariera chiusa, le listelle della persiana abbassate tanto da non permettere alla troppa luce del lampione sulla strada di entrare.
Sentii dei passi sul terrazzo, e una voce che mi chiamava. Vidi un’ombra che camminava avanti e indietro stagliandosi contro la penombra, senza però entrare.
<< Aurora, esci, sono io. Non avere paura. Sono tornato! >>.
Raggelai. Quella voce non mi convinceva. Troppo roca. Troppo furtiva. Troppo smaniosa di convincermi.
Troppe parole, lui non aveva mai mosso le labbra per esprimere concetti trasferibili semplicemente col pensiero.
Mi rannicchiai nel letto immobile, senza respirare.Il mio cuore sembrava un tamburo, cercai di controllarne il battito nel timore potesse essere sentito. Ma se pure l'ospite sentì qualcosa, fece finta di niente. Non so per quanto tempo trattenni il fiato, fatto sta che il silenzio tombale proveniente dalla mia camera dopo un po’ fece desistere il visitatore, che se ne andò.
Quella volta, la paura vinse la curiosità. In seguito ebbi il serio terrore che il mio amore notturno fosse stato annientato da chissà quale altro consanguineo malvagio. Del resto, mi aveva avvertito di stare attenta!
Non posso fare a meno di pensare che forse ho chiuso la porta in faccia al ritorno del mio oscuro cavaliere innamorato; oppure, col mio comportamento, mi sono salvata la vita.
Non ho una risposta certa alle mie domande. L’unica certezza che ho è che mi fido molto dello stato d’animo che in me suscitano gli altri individui. L’ultimo contatto non aveva stuzzicato in me nulla di piacevole.
 
La mia storia scivola tranquillamente sulla superficie dell'esistenza, confondendosi con la fantasia. Non so se questo vampiro sia simile a quelli delle più famose letterature, non so se avesse poteri straordinari. So solo che eravamo telepatici, ma non so neanche se lo fosse solo con me e perchè.
Sono passati più di dieci anni dalla prima notte, lui resta sempre vivo nella mia memoria.
Lui, il mio segreto amore notturno, misterioso e silenzioso come un’ombra. Lui, che come i sogni più fantasiosi non mi ha ancora svelato il suo nome. Lui, mi domando se tornerà mai.

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